Te puede interesar:
La metadisciplinarità. Scienza, filosofia e teologia
Autor: Prof. Lluís Clavell. Pontificia Università della Santa Croce (Roma)
Publicado en: (pp. 43-54 de: "Unità del sapere e del fare, una soluzione transdisciplinare?" (risultati del Convegno, Napoli, 26-28 ottobre 2000), a cura di Ezio Mariani. Napoli, Istituto per ricerche ed attività educative, 2001, 244 p.)
Fecha de publicación: 2001
1. Un riferimento iniziale a "Fides et ratio"
L'intenzione e la portata dell'Enciclica Fides et ratio non si limitano ai rapporti tra la teologia e la filosofia. Questo è palese nella conclusione dell'Enciclica, dove Giovanni Paolo II si rivolge agli scienziati: "Nell'esprimere la mia ammirazione ed il mio incoraggiamento a questi valorosi pionieri della ricerca scientifica, ai quali l'umanità tanto deve del suo presente sviluppo, sento il dovere di esortarli a proseguire nei loro sforzi restando sempre in quell'orizzonte sapienziale, in cui alle acquisizioni scientifiche e tecnologiche s'affiancano i valori filosofici ed etici, che sono manifestazione caratteristica ed imprescindibile della persona umana" (FR 106). Il documento ha quindi in mente anche altre forme di sapere e di scienza, che tramite la filosofia si collocano in un orizzonte di sapienza.
Il Santo Padre si preoccupa della visione unitaria e organica del sapere e afferma: "Questo è uno dei compiti di cui il pensiero cristiano dovrà farsi carico nel corso del prossimo millennio dell'era cristiana" (FR 85). Le parole fanno pensare ad un lavoro impegnativo, paziente ed arduo, che può durare parecchio tempo. Ma è molto importante poiché è in gioco la lacerazione dell'uomo contemporaneo: "La settorialità del sapere, in quanto comporta un approccio parziale alla verità con la conseguente frammentazione del senso, impedisce l'unità interiore dell'uomo contemporaneo. Come potrebbe la Chiesa non preoccuparsene? Questo compito sapienziale deriva ai suoi Pastori direttamente dal Vangelo ed essi non possono sottrarsi al dovere di perseguirlo" (Ib.).
2. La consapevolezza della frammentazione del sapere
Oggi sono molti gli autori che lamentano la frammentazione del sapere, tenendo presente la giusta distinzione tra specializzazione e frammentazione. La prima è necessaria per il progresso nel campo della conoscenza e dello sviluppo umano, ed è inevitabile data la limitazione dell'uomo. La seconda invece è dannosa. In linea di principio, la specializzazione non dovrebbe portare inesorabilemente alla frammentazione. Di fatto però, forse per il modo in cui è avvenuta la specializzazione, essa stessa è stata accompagnata dal frammentarsi del sapere in scienze che non comunicano.
La specializzazione ha dato luogo ad una grande diversità di metodi di ricerca, con la conseguente creazione di linguaggi molto particolari. Anche la struttura organizzativa delle università in facoltà, scuole, dipartimenti ha consacrato, secondo MacIntyre, una sorta d'isolamento e di incomunicabilità tra le scienze. La frammentazione è penetrata perfino all'interno dei due saperi più sapienziali, la filosofia e la teologia, nelle cui rispettive facoltà le diverse aree di ricerca comunicano poco, per cui il ruolo unificatore di questi saperi, di per sé rivolti all'intera realtà, diventa inefficace.
La frammentazione ha portato con sé parecchi effetti negativi. Dal lato della realtà conosciuta, con la frammentazione si ha una molteplicità di dati e di conoscenze senza una visione unitaria del reale. L'uomo si trova oggi a dover agire in un mondo del quale ha soltanto delle immagini parziali e scollegate. Da ciò nasce un senso d'insicurezza, che viene provvisoriamente nascosto dai risultati della tecnologia.
Dal lato della persona, si riscontra un effetto non desiderato ancora più grave, in quanto, studiata solo con i metodi delle scienze naturali, essa si trova ad avere una visione frammentata di sé stessa. La concentrazione sul soggetto e il distacco del soggetto rispetto all'oggetto, caratteristiche dell'epoca moderna, hanno portato ad una situazione di massima perplessità sull'interrogativo fondamentale: chi sono io?
3. La soluzione dell'interdisciplinarità
Di fronte al problema della frammentazione si è cercato di promuovere il contatto tra le diverse discipline. Sempre di più vengono incrementati incontri e spazi dove i cultori di scienze diverse, più o meno vicine, possano dialogare. Si predispongono corsi in cui gli studenti possano affrontare un oggetto di studio da diverse angolature metodologiche, in modo da ottenerne una visione sintetica.
Un primo grado di unità è l'approccio multidisciplinare, secondo cui una determinata questione viene studiata da più discipline, ma senza interazione tra esse. Ci si limita ad una giustapposizione d'informazioni attinte dalle diverse scienze. L'interdisciplinarità invece procede oltre verso l'interazione, poiché considera le varie discipline in reciproca connessione quanto ai metodi e quanto all'inquadramento nella cultura.
Con l'interdisciplinarità è stato fatto un passo importante. Le attività interdisciplinari hanno il vantaggio di facilitare il porsi i problemi dei fondamenti di una o varie scienze, di mostrare la complementarietà tra esse e quindi di correggere i pregiudizi –molte volte ideologici-, che sono alla base dell'isolamento e del riduzionismo. Le diverse scienze hanno ottenuto la possibilità dell'incontro e dello scambio di vedute su di un livello di parità.
Non tutto è stato positivo. Nel campo epistemologico, in generale si è insistito sul bisogno di evitare il tentativo di voler ridurre alcune scienze ad altre. Ma questo tentativo, che potrebbe essere chiamato un processo di ‘cattiva unificazione', è avvenuto in certi casi, come ad esempio con Edward Osborne Wilson (in Consilience: The Unity of Knowledge), il quale propone di unificare tutte le scienze interpretandole in chiave di sociobiologia evolutiva.
Il Prof. G. Tanzella-Nitti mi ha fatto notare che spesso la spinta all'interdisciplinarità è legata a motivi di efficienza pragmatica nel campo dell'agire e non da un desiderio di unità nell'ordine del conoscere: lavoriamo e dialoghiamo insieme per produrre di più e meglio o raggiungere più in fretta un certo obiettivo, non per "rispondere in modo più completo e dunque più vero" alle domande che contano. Ovviamente ai fini dell'unità del sapere andrebbe favorito questo secondo tipo di interdisciplinarità.
Un altro punto negativo è costituito dal fatto che in genere, la teologia e la filosofia, che potrebbero avere avuto un qualche ruolo unificatore, sono rimaste un po' isolate in questo movimento verso l'interdisciplinarità, almeno in alcune aree geografiche e culturali.
Tornando ai risultati ottenuti, ormai sembra superata nella maggioranza degli scienziati la pretesa che la conoscenza rigorosa sia privilegio delle scienze naturali, impostate in chiave di spiegazione matematica. E' stata la critica interna alla scienza stessa che ha portato al superamento dei paradigmi scientisti. Più recentemente Popper ha riconosciuto l'importanza di quadri di riferimento più ampi, di tipo metafisico, per lo sviluppo scientifico.
La rottura epistemologica tra scienze della natura e scienze umane, legata alla distinzione tra ‘spiegare' e comprendere' si è andata sfumando e superando, per esempio in Von Wright o in Ricoeur, e si è visto che le scienze naturali e le scienze umane hanno dei vincoli e degli aspetti comuni, in quanto hanno entrambe una dimensione ermeneutica. Prigogine, osservando che le scienze pure si aprono ad una visione più storica della natura, insiste che ci sono ponti tra le scienze naturali e quelle umane, affermazione più vicina ad una prospettiva aristotelica o bergsoniana e contraria al paradigma dualistico di origine cartesiana.
4. Dall'interdisciplinarità alle questioni metadisciplinari
Gualberto Gismondi (cfr. Fede e cultura scientifica, EDB, Bologna 1993) nota che il metodo interdisciplinare, sorto per rimediare alle contraddizioni riduttiviste e alla frammentazione del paradigma scientista, non è più adeguato all'epistemologia della complessità, che caratterizza l'attuale periodo scientifico. Si rende necessario passare ad un metodo transdisciplinare, in cui varie scienze mettono in comune tutti i loro principi di base per ritrovarne il fondamento unificante.
Secondo me, l'interdisciplinarità sta favorendo il contatto tra i diversi saperi, ma di per sé si muove ad un livello orizzontale e non pone - o almeno non lo fa in modo chiaro ed esplicito - le questioni ulteriori che nascono da una determinata prospettiva scientifica e che quella scienza non è in grado di risolvere. Sembra quindi una soluzione parziale o un primo passo, perché non rende esplicito il fatto, molto importante, che ci sono questioni metadisciplinari.
Nel mondo dei saperi ci sono da molto tempo sviluppi classici di metadisciplinarità, come, ad esempio, la filosofia del diritto. Questa tratta di questioni metagiuridiche, cioè che sono aldilà del diritto, che però il giurista non può ignorare. Il diritto dipende da conoscenze più profonde sull'antropologia, su ciò che giusto e ingiusto, sul bene e il male. Un altro esempio paradigmatico di metadisciplinarità sono le ricerche metafisiche di Aristotele. La sua fisica (con la biologia, l'astronomia, ecc.) gli poneva problemi che si trovano al di là di essa e che costituiscono la metafisica. Da alcuni decenni si sono sviluppate diverse metascienze (metamatematica, metalogica, metabiologia, ecc.), che cercano d'inquadrare una determinata disciplina in una cornice di principi più generali di quelli della disciplina stessa, permettendo così la soluzione di aporie e problemi indecidibili. In qualche modo si tratta di riflessioni filosofiche sulle scienze.
Senza pretese di essere esaurienti, si possono distinguere almeno tre tipi di questioni metadisciplinari: a) alcune sono epistemologiche, cioè la considerazione sul proprio metodo, la sua specificità e la sua distinzione da altri metodi vicini, i suoi vantaggi e i suoi limiti; b) altre nascono dai temi studiati, i quali, non essendo stati pienamente compresi con quel metodo, rimandano ai fondamenti, i quali si trovano in altri saperi, accessibili con altri tipi di razionalità; c) si potrebbe parlare di un terzo gruppo di questioni metadisciplinari: la necessità di scoprire e di approfondire il quadro metafisico, etico e religioso di riferimento, all'interno del quale si muovono coloro che praticano quella scienza; un quadro che cambia lungo la storia, ma che sempre esiste, poiché nessun scienziato può essere veramente neutrale di fronte alle questioni radicali e prescindere da queste nelle proprie ricerche.
Vorrei tentare di riflettere in modo piuttosto generale sulle scienze della natura e su quelle umane. Quanto alle scienze naturali, un esempio interessante sul modo di affrontare questioni metadisciplinari si può trovare nel recente lavoro di M. Artigas, La mente del universo (Eunsa, Pamplona 1999). In esso, partendo dallo stato attuale della scienza e in dialogo con i principali scienziati e filosofi della scienza, cerca di scoprirne i vari presupposti: ontologico (esistenza di un ordine nella natura, che la rende intelligibile), epistemologico (la capacità umana di conoscere quell'ordine) ed etico, riguardante i valori implicati nell'attività scientifica.
Oltre a questi presupposti ci sono i problemi fondamentali della filosofia della natura, impostati però a partire dalla scienza così come si è sviluppata. Qui si pongono gli interrogativi sulla causalità, sulla natura dell'attività, sul versante quantitativo e su quello qualitativo, e forse in modo del tutto particolare la questione della finalità, alla quale Robert Spaemann ha dedicato un libro (assieme al suo collaboratore Reinhard Löw, Die Frage Wozu?: Geschichte und Wiederentdeckung des teleologischen Denkens, , R. Piper, München – Zürich 1985). Nel periodo moderno con il dualismo cartesiano si perde la teleologia, e mi chiedo se non sia stato questo uno dei motivi che ha condotto dalla specializzazione alla frammentazione.
Le scienze della natura quindi chiamano in causa la filosofia della conoscenza, nel suo preciso versante epistemologico (filosofia della scienza) e in quello della filosofia della natura. E' chiaro però che la comprensione del cosmo non finisce a questo livello, poiché sono implicati soprattutto temi metafisici ed antropologici, come ha ben rilevato Artigas.
Il campo delle scienze umane appare abbastanza complicato. In molti casi si sono sviluppate con metodi nati nelle scienze della natura, come è successo per esempio alla sociologia e alla psicologia. D'altra parte bisogna riconoscere che non poche ricerche di sociologi e di psicologi hanno avuto un certo spessore filosofico, che ha arricchito talvolta la stessa filosofia. C'è anche il campo, particolarmente interdisciplinare, delle "scienze cognitive", a cui partecipano informatica, psicologia, filosofia del linguaggio, neurofisiologia, educazione, ecc.
Tutte le scienze umane rimandano, ovviamente, non solo alle questioni di metodo scientifico, ma anche ai temi di una antropologia filosofica integrale, intesa ad abbracciare anche le questioni fondamentali dell'etica e della politica.
Mi preme di sottolineare quanto sia importante il ruolo della filosofia in questo passaggio alla metadisciplinarità. Sono noti i servizi "Meta" in internet, che promuovono un costruttivo rapporto (engagement) tra scienza e religione. Ma per questo rapporto è necessaria la mediazione filosofica. Fides et ratio afferma che se la filosofia riuscirà ad avere una dimensione sapienziale "non sarà soltanto l'istanza critica decisiva, che indica alle varie parti del sapere scientifico la loro fondatezza e il loro limite, ma si porrà anche come istanza ultima di unificazione del sapere e dell'agire umano, inducendoli a convergere verso uno scopo ed un senso definitivi. Questa dimensione sapienziale è oggi tanto più indispensabile in quanto l'immensa crescita del potere tecnico dell'umanità richiede una rinnovata e acuta coscienza dei valori ultimi. Se questi mezzi tecnici dovessero mancare dell'ordinamento ad un fine non meramente utilitaristico, potrebbero presto rivelarsi disumani, ed anzi trasformarsi in potenziali distruttori del genere umano" (FR 81).
Secondo queste parole, la filosofia dovrebbe assolvere due compiti: uno epistemologico, cioè quello di riflettere sul metodo, sui fondamenti e i limiti propri d'ogni scienza; l'altro, collegato al primo ma ancora più intensamente sapienziale, quello dell'unificazione del sapere e dell'agire.
5. La sapienza metafisica ed antropologica
Queste riflessioni sulla metadisciplinarità ci portano verso alcuni abiti intellettuali e morali di carattere sapienziale, che aiutano ad accedere alla realtà intera senza fermarsi ai livelli empirici, cioè a passare dal fenomeno alla realtà. In altre parole, sia l'approccio empirico che la successiva visione fenomenologica tendono di per sé allo sguardo metafisico che penetra nell'essere stesso. Al tempo stesso la metafisica richiede una comprensione fenomenologica.
In questa mia prospettiva, la metafisica non è astratta, ma universale, radicale e concreta. Guarda l'essere tenendo presenti i diversi gradi di essere e in modo particolare l'essere personale, che dà il senso della creazione. Perciò accanto alla metafisica universale dell'essere esiste una metafisica dell'uomo, del sentimento, dell'amore, del lavoro, della sessualità, della festa, del dono, dell'arte, ecc. (Cfr. T. Melendo,Metafisica del concreto. I rapporti tra filosofia e vita, Casa editrice "Leonardo da Vinci", Roma 2000, p. 40).
Quest'impostazione va nella linea di una metafisica della vita quotidiana. Si tratta della necessità che "le ‘cose ultime' proprie della metafisica arrivino alla gente comune", poiché "la metafisica è cosa di tutti" ed è in questo rapportarci con la realtà stessa che ci giochiamo la vita eterna (C. Cardona, Aforismos, Rialp, Madrid 1999, pp. 20-21). Tutto ciò implica un compito di decantazione per eliminare la complicazione formale che ha avvolto la sapienza metafisica.
Perciò metafisica e antropologia non sono alternative, anzi esiste una certa implicanza reciproca, poiché la persona è l'ambito privilegiato per l'incontro con l'essere. Volendo indicare una sequenza tra le scienze sapienziali andando verso la fondazione più radicale, potremmo proporre quest'ordine: dall'etica all'antropologia, e dall'antropologia alla metafisica.
L'insieme di metafisica, antropologia ed etica si rivela come il nocciolo sapienziale al quale rimandano le questioni metadisciplinari. Una ricerca sapienziale articolata con questi elementi permette di approdare ad un'unità del sapere, che non significhi uniformità. Si tratta di un'unità forse mai raggiunta in passato e che la situazione della scienza richiede in modo nuovo.
6. Il contributo della teologia all'unità del sapere
Resta un ultimo passaggio importantissimo, quello che riguarda la religione e la teologia. La sapienza filosofica è necessaria in quanto sapere più profondo e più radicale a livello puramente umano. Ma ciò non basta, poiché questa sapienza è intimamente collegata con la dimensione religiosa della persona, che si caratterizza per la sua apertura all'essere delle altre persone, del mondo e di Dio. La religione ha un ruolo per la promozione del sapere e per il suo servizio all'uomo nella sua integralità. In qualche modo l'esperienza religiosa abbraccia in un'unità di tipo esistenziale i diversi aspetti del conoscere e dell'agire. Perciò oggi la maggioranza degli scienziati vedono in modo positivo il rapporto tra scienza e religione, con le opportune precisazioni, poiché le religioni possono avere degli errori e limiti.
Per quanto riguarda la Rivelazione divina, questa ha avuto la sua pienezza nell'Incarnazione del Verbo tramite la quale Dio ha voluto in qualche modo unirsi ad ogni uomo, salvandoci e liberandoci dal peccato e dalle sue conseguenze, che hanno segnato la storia umana.
Il trinomio di metafisica, antropologia ed etica non è l'ultima risposta, ma solo la penultima. Ha bisogno particolarmente della Cristologia per trovare risposte soddisfacenti alle questioni più incalzanti del senso dell'esistenza, del dolore, della morte, della felicità e della pienezza di vita. "Il Figlio di Dio crocifisso è l'evento storico contro cui s'infrange ogni tentativo della mente di costruire su argomentazioni soltanto umane una giustificazione sufficiente del senso dell'esistenza. Il vero punto nodale, che sfida ogni filosofia, è la morte in croce di Gesù Cristo. (...). Quale sfida viene posta alla nostra ragione e quale vantaggio essa ne ricava se vi si arrende! La filosofia, che già da sé è in grado di riconoscere l'incessante trascendersi dell'uomo verso la verità, aiutata dalla fede può aprirsi ad accogliere nella "follia" della Croce la genuina critica a quanti si illudono di possedere la verità, imbrigliandola nelle secche di un loro sistema. Il rapporto fede e filosofia trova nella predicazione di Cristo crocifisso e risorto lo scoglio contro il quale può naufragare, ma oltre il quale può sfociare nell'oceano sconfinato della verità" (FR 23).
Queste affermazioni di Fides et ratio aiutano a capire il grande aiuto dell'Incarnazione e del mistero pasquale alla sapienza umana. La teologia è un aiuto necessario per l'unità del sapere, come aveva visto molto bene J.H. Newman, nella sua operaL'idea dell'università . Fa piacere vedere come negli ultimi decenni si cerca di illuminare tante realtà della vita quotidiana e scientifica con la Rivelazione, dando luogo a varie teologie settoriali: teologia del lavoro, teologia del diritto, teologia della tecnica, ecc. Ma questi tentativi, tanto necessari affinché la collaborazione tra fede e ragione raggiunga tutto l'ambito del sapere, non possono saltare il ruolo della filosofia.
Sebbene la Rivelazione divina abbia avuto fortunatamente un grande e positivo influsso, la teologia, in quanto scienza, nemmeno in passato riuscì ad illuminare gli altri saperi in modo soddisfacente. Perciò, ci troviamo di fronte a un compito affascinante e nuovo, anche perché viviamo in un mondo culturale altamente sviluppato sul piano scientifico e universitario. La ricerca dell'unità del sapere costituisce una meta molto esigente e all'altezza dell'attuale momento storico. Per salvare l'uomo vale la pena rompere schemi rutinari ed isolanti e tentare di superare la frammentazione.